Una storia orizzontale
di
Alessandro Ghebreigziabiher
Elisa, quella sera, era sotto lo coperte, mentre il padre le rimboccava con cura.
"Papà", chiese lei, "cosa sono i sogni?"
L'uomo si era ormai abituato alle continue domande della curiosa bambina e, sedutosi sul bordo del letto, provò a dare la propria risposta: "I sogni sono una specie di storie. Devi sapere che esiste un anziano folletto, vecchio come il tempo stesso, che le scrive per noi."
"E perché lo fa?"
"Lo fa perché ci vuol bene. Avrai notato che le nostre giornate non sono fatte solo di momenti belli e pieni di gioia ma anche quelli un po' tristi, no?"
"Sì, è vero."
"Ecco, il vecchio folletto segue tutti i nostri istanti e quando ci addormentiamo, come in una specie di cinema, ci mostra delle storie diverse da quelle di tutti giorni, per distrarci e per tirarci su."
"E gli incubi? Li scrive sempre lui?"
"No, gli incubi no. Quelli li scriviamo noi, quando non abbiamo voglia di credergli, di credere ai sogni che ci vuol regalare."
"Sai una cosa, papà?"
"Dimmi pure"
"Vorrei conoscerlo, questo folletto. Dove vive?"
"Vive nei sogni, lui vive in tutti i sogni che scrive per noi."
"Allora spero di incontrarlo, stanotte."
"D'accordo, se lo incontri digli che lo saluto", mormorò il padre accarezzandole la testa.
"Sì, papà."
"Buonanotte", le augurò l’uomo prima di spegnere la luce e uscire dalla camera.
"Buonanotte", rispose Elisa, chiudendo gli occhietti.
Un nuovo sogno fu scritto per lei, quella notte. Uno strano sogno, poiché la bambina era nel suo letto, nella sua stanza, ma sembrava vero, come se fosse sveglia. Tuttavia ella era sicura di dormire. Così, senza perdere tempo, chiamò il creatore dei sogni: "Folletto? Pss… folletto? Ci sei? "
Nessuna risposta.
"Folletto?" ripeté a voce più alta. "Mi senti, folletto? Dove sei? Sono Elisa."
Silenzio, nessun rumore nella camera, illuminata dalla luce della luna.
"Ecco, non esiste alcun folletto dei sogni…"
E la bimba scoppiò in lacrime.
Dopo meno di un minuto un cappello a forma di cono, rosso come un pomodoro, apparve al di là del bordo del letto di Elisa, davanti ai suoi piedini.
La bambina non smise di singhiozzare ma diminuì leggermente il volume.
"Chi sei? Sei il folletto?" chiese sospirando.
Il padrone del cappello si fece vedere meglio e una faccetta tonda si palesò. L'omino aveva due enormi occhi azzurri e portava un paio d'occhiali dalla montatura dorata ancora più grandi. L'età si vedeva, poiché i capelli lunghi fino alla base del collo e la barba folta erano di un bianco chiaro e brillante come la classica neve al sole.
Indossava una specie di casacca verde chiaro, con dei bottoni blu .
"Ci conosciamo?" chiese sistemandosi meglio gli occhiali.
La bambina si asciugò le lacrime in fretta e si tirò su a sedere.
"Sono Elisa", disse poi sorridendo.
"Elisa chi?" chiese lui aggrottando la fronte.
"Elisa, Elisa la bambina…"
"E allora?" disse lui spazientito.
"Ad ogni modo, io sono Erotangos, il folletto. Questo non vuol dire che ci conosciamo, però."
"Io ti conosco", fece subito lei. "Mi ha parlato di te mio padre. So tutto."
"Tuo padre? E chi è tuo padre?"
"Si chiama Luca, te lo vado a chiamare?"
"Non conosco alcun Luca, io", dichiarò il folletto infastidito. "Ora vado poiché non ho tempo da perdere."
L'omino stava per allontanarsi quando Elisa gridò: “Folletto, ma dove vai? Non andartene."
"Allora, prima di tutto, un po' di rispetto. Signor Folletto, visto che ho almeno cinque milioni di anni più di te. Secondo, con tutto quello che ho da scrivere, e visto che i più grandi intelligentoni della storia hanno cercato di parlare con me senza avere risposta, mi dici perché dovrei perdere il mio tempo con una bambina? Dormi e sogna, su."
E fece nuovamente per andarsene.
Elisa sbottò a piangere di nuovo, ancora più forte di prima e tra i singhiozzi esclamò: "Io volevo solo chiederti come fai a scrivere i sogni per noi."
Il folletto era ormai davanti alla porta della cameretta con la mano sulla maniglia quando, udendo le parole della bimba, si fermò immediatamente. Quindi, lentamente si voltò: "Cos'hai detto?"
"Ho detto", rispose lei senza smettere di piangere, "che vorrei sapere come fai a scrivere i sogni."
In quell'istante Erotangos si illuminò in volto come non aveva mai fatto in vita sua. Si avvicinò di nuovo al bordo del letto e, con la commozione incisa nei grandi occhi, le disse: "Elisa… Ti chiami Elisa, no?"
"Sì."
"In tutti questi anni le persone più geniali che hanno vissuto sulla terra e le poche tra loro che hanno creduto alla mia esistenza mi hanno chiesto di tutto. Gli scrittori mi hanno implorato di donare loro storie non ancora raccontate per poterle scrivere a loro volta come fossero proprie, i giornalisti mi hanno supplicato di potermi fare profonde interviste su chi fosse la mia fidanzata del momento e dove andassi in vacanza, i politici mi hanno pregato in ginocchio di candidarmi con i loro partiti o almeno apparire sui loro manifesti, gli scienziati mi hanno scongiurato di rivelare loro grazie a quale fenomeno chimico io possa vivere nei sogni. Tuttavia nessuno di loro mi aveva mai fatto la domanda più importante. Non avrei mai immaginato che solo una bambina sarebbe stata capace di tanto."
"Allora mi risponderai?" chiese lei liberando gli occhi dalle lacrime con le manine.
"Certo", rispose il folletto, "ti rivelerò il mio segreto, che è semplice quanto fondamentale. Io so scrivere i vostri sogni poiché osservo la vita dalla stessa angolazione dalla quale li sognate: in orizzontale."
"Non capisco…" ammise la bambina.
"E’ molto più ovvio di quanto tu possa pensare e, forse, è questo il motivo per il quale finora tale tesoro non abbia interessato le più grandi menti della storia. Quando ti capita di sognare?"
"Quando dormo."
"E dove ti trovi quando dormi?"
"Qui, nel mio letto."
"E in quale posizione dormi?"
"Che domanda? Sdraiata sul letto."
"Giusto. O, per meglio dire, in orizzontale. Ecco, quella è la posizione che mi permette di immaginare le mie storie e raccontarle a voi nei vostri sogni."
"Cosa vuol dire, folletto?"
"Piccola, ho detto signor folletto…"
"Ah, scusami. Signor folletto, non ho capito cosa voglia dire che immagini le storie in orizzontale."
"E' chiaro, bambina mia", disse Erotangos sedendosi sul bordo del letto, proprio nello stesso punto in cui di solito si accomodava il papà di Elisa. "Se tu ci pensi tutte le cose che la gente chiama serie e importanti si fanno quando si è in piedi o comunque dritti, con lo sguardo davanti a sé, cioè in verticale. Infatti in verticale si cammina per andare a lavoro, si fanno compere nei negozi e si fanno le file alla posta. In verticale le persone fanno anche le guerre, rubano, litigano, in verticale alcune fanno discorsi di scarso valore e sempre in verticale altre li ascoltano con grande attenzione. In verticale gli esseri umani viaggiano, si incontrano, si conoscono, in verticale scoprono il mondo e così sono abituati ad osservarlo, con gli occhi puntati nella direzione del proprio naso. E più l'attenzione del loro sguardo è puntata vicino ad essi, alla loro stessa ombra, è più gli uomini vengono chiamati concreti, pratici, realistici. Più è lanciata lontano, verso l'orizzonte e più li definiscono fantasiosi, distratti o, peggio, inaffidabili."
"Il mio papà mi sa che è inaffidabile. Ha sempre la testa tra le nuvole.”
“Non è inaffidabile”, osservò stizzito Erotangos.
"Scusa, non volevo offendere papà. Io gli voglio bene."
"Sicuro, cara, anche lui te ne vuole. La sai una cosa? Dovresti vedere cosa vedo io, in orizzontale.”
"Sì, certo che lo voglio."
"Allora sdraiati e chiudi gli occhi, come se dormissi, come se sognassi", la invitò l'omino.
La bambina non si fece pregare e con fiducia obbedì.
"Mi senti, Elisa?" chiese poi Erotangos.
"Sì, ti sento", rispose lei.
"Ora immagina che sia mattina e che la luce del nuovo giorno entri dalla finestra, per svegliarti e riscaldarti il viso. Immagina di aprire gli occhi ma di non alzarti per metterti in piedi, in verticale. Pensa di poterti sollevare dal letto come volando rimanendo sempre sdraiata, in orizzontale. Ci hai pensato? Anche volare, come sognare, si fa in orizzontale. Pensa di alzarti sopra la tua città, ma con gli occhi verso l'alto. Cosa vedi?"
"Vedo il cielo azzurro."
"Giusto, il cielo azzurro illuminato dai raggi del sole come il tuo viso al tuo risveglio. E lo vedi quello stormo di rondini che sta passando sopra di te?"
"Sì, lo vedo."
"Guarda bene, lo vedi come sono felici di volare insieme? Lo vedi come sono contente di sentire insieme il calore del sole?"
"Sì, folletto", rispose dimenticandosi del signor.
"E lo vedi ora quel gruppo di nuvole soffici e incastrate l'una con l'altra?" le disse lui, dimenticandosi a sua volta di riprenderla.
"Sì, che strane forme."
"Brava, hai detto bene. Che strane forme. Ma sono strane perché non le considerate mai con attenzione. Osservale con cura, per una volta. Guarda quella al centro: non sembra il viso di una strega?"
"Già, ha pure il nasone."
"E fissa ora quella alla sinistra, cosa ci vedi?"
"Sembra una mano, una mano aperta."
"Bravissima, Elisa. E quella a destra?"
"Quella… quella mi pare una barca, una barca a vela."
"Ottimo, piccola. E ora lascia perdere le nuvole. Sta passando proprio in questo istante un aereo. Lo vedi lassù, in alto?"
"Eccolo, com'è piccolo da quaggiù."
"E' vero, eppure è grandissimo. E dentro ci sono delle persone. Ci pensi mai, quando vedi passare un aereo, che a bordo ci sono delle persone? Uomini, donne, bambini e bambine come te?"
"No, mai."
"Pensa che quelle persone stanno volando, proprio come le rondini e le nuvole, proprio come te, ora."
"E' vero."
"Pensa di sollevarti in alto fino a vedere l'aereo passare a pochi metri da te. Immagina quindi che adesso l'aereo rallenti, ora che puoi vederlo da vicino. Guarda i finestrini. Li vedi quei due bambini che ti salutano con le manine?"
"Sì, li posso salutare anche io?"
"Certo, devi salutarli, è una questione di educazione. Lo vedi? Ti sta salutando pure il pilota, quel signore con il cappello da aviatore e la barba."
"Sì, gli sto facendo ciao proprio in questo momento."
"Ora immagina che sia sera e che cali la notte. Le vedi le stelle?"
"Sono tantissime, sono tutte piene di luce."
"Io le ho contate: sono settecento trentasette milioni di miliardi, circa."
"Caspita, e come hai fatto?"
"Perché io vedo il mondo in orizzontale, sempre. E quindi ho molto tempo per contarle, la notte. La vedi la luna?"
"Sì, com'è grande."
"Immagina invece che sia piccola come un limone e pensa di poterla prendere con una mano. Coraggio, prendila."
Elisa non se lo fece ripetere e, sempre sdraiata sotto le coperte, con gli occhi ben chiusi, allungò il braccio per prendere qualcosa di invisibile davanti a sé.
"E' morbida. E' calda è morbida…" sussurrò con un grande sorriso sulle labbra.
"Ti piace averla in mano, mia cara?"
"Sì, folletto, mi piace. La posso tenere?"
"Eh, no… la luna è di tutti ed è la luce della notte. In tal modo lei e tutte le stelle rimarrebbero al buio."
"Ah, è vero."
"Però puoi tenerla con te per qualche minuto e sappi che non tutti possono. Solo chi si permette di vedere il mondo in orizzontale può prendere la luna in una mano. E anche se è solo per un momento, non è meraviglioso?"
"Sì, è bellissimo", rispose la bambina portando vicino al cuore la luna invisibile stretta tra le dita.
"Signor folletto", domandò poi.
"Chiamami pure Erotangos", le permise l'omino.
"Potrei portarci i miei genitori, qui, a vedere il mondo in orizzontale? Io vorrei vivere così, mi piacerebbe vivere sempre così, in orizzontale."
Il folletto le accarezzò il capo, proprio nello stesso modo in cui lo faceva sempre il suo papà, e le mormorò: "Piccola, non si può e non si deve vivere solo in orizzontale. Come non si può credere di poter essere felici vedendo il mondo solo in verticale. Sono importanti entrambi i punti di osservazione così come tutti gli infiniti modi in cui puoi osservare ciò che ti circonda. Ricorda, non avere mai fretta di guardare qualcosa, poiché ogni cosa che vedrai nella tua vita è molto più importante di quello ti sembrerà con una sola occhiata. E quando sei un po' giù, prova a vedere le cose in orizzontale e vedrai che ti sentirai meglio. E' una promessa. D'accordo?"
"Sì, Erotangos."
"Ora dormi, piccolina. Dormi e continua a volare."
"Buonanotte", disse lei rimettendo la luna al suo posto.
"Buonanotte, Elisa", disse il folletto, abbandonando la stanza così come era entrato, dalla porta.
Così la bambina riprese a sognare come aveva sempre fatto, anche se con molta, molta più leggerezza.
Potrei dirvi che per il carnevale di due anni prima, Luca, il papà di Elisa, aveva acquistato una maschera da folletto per sua figlia, perché le erano piaciute tanto alcune favole su questi fantastici personaggi.
Potrei dire anche che forse Elisa, se l'avesse vista indosso al papà, quella notte, inginocchiato vicino al suo letto, con i grossi occhiali dimenticati a casa dal nonno lo scorso fine settimana e con indosso una delle vecchie vestaglie della moglie morta da poco più di un anno, non l'avrebbe di certo riconosciuto, talmente era desiderosa di conoscere il creatore dei sogni.
E potrei infine rivelarvi che le cose stanno proprio così.
Che fu il papà della bambina a raccontarle quanto fosse importante, ogni tanto, smettere di vedere il mondo in verticale.
Tuttavia vorrei lasciare il tutto com’è e andare avanti, come accade nei sogni, che non si possono cambiare una volta sognati.
Ovvero, se preferite, come capita sempre nelle storie scritte e narrate.
In orizzontale.
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