L’aspirante scrittore
di
Alessandro Ghebreigziabiher
“Pregiatissimo autore… eccetera ed eccetera.”
Così era stato definito sulla busta il non più giovanissimo Armando.
Non serviva leggerne il contenuto, non occorreva aprirla, non serviva più nemmeno scrivere, in ultima analisi.
Non era questo quel che desiderava? Non erano un nome e un cognome per la propria anima sensibile, l’obiettivo ultimo della sua ricerca? Non bramava ogni secondo di essere introdotto in siffatto modo dall’intervistatore di turno, mentre, dall’alto della sua comoda poltrona e circondato da scaffali di libri testimoni del raffinato lavoro di penna, svelava i misteri celati dietro l’inchiostro di quest’ultima? Non anelava a raggiungere tale unica distinzione dal gretto mondo che lo circondava, tra l’incolta madre e l’arido padre, sempre incapaci di apprezzare le sue meravigliose doti? Non sognava, infine, di affrancarsi dagli amici a suo avviso falliti nella propria banale esistenza, per non parlare dei vicini ciechi di fronte a cotanto compagno di condominio e gli insoddisfatti colleghi?
L’unica cosa che la sua mente avesse memorizzato era l’indirizzo del lungimirante editore che affermava il proprio desiderio di incontrarlo, con l’intenzione di pubblicare la sua interessante opera, dal titolo con tanto di punto esclamativo: Il romanzo della mia vita!
Mentre dai vetri del bus fissava la città scappare e i palazzi inclinarsi, giustamente riverenti verso il novello artista, ripensava ai numerosi direttori di collane o semplici redattori, i quali avevano rifiutato il suo manoscritto perché non se ne poteva più di presunti scrittori con l’ennesimo racconto autobiografico.
Stolti e incompetenti, ecco come li dileggiava beffardo nella sua mente, immaginandosi nel firmare autografi a folle di ragazzine in preda a crisi isteriche come a un concerto rock. Eppure era rimasto colpito quando aveva visto quel filmato di Eduardo de Filippo, in cui il celebre autore napoletano sosteneva che non si dovesse scrivere di sé, ma degli altri e che raccontare solo la propria storia, alla fine, diviene noioso perfino per chi scrive.
Tuttavia, osservando il cumulo di cartelle impregnate dei suoi ultimi trent’anni, sentiva nascere dentro un orgoglio smisurato e, soprattutto, una incomparabile sensazione di appagamento.
“Io esisto”, pensava in quei momenti, “sono interessante, sono degno di lettura e d’attenzione, ho vissuto cose importanti, la mia vita è importante, perché sono un pregiatissimo autore…”
Eccetera ed eccetera.
Tali parole si srotolavano dalla testa alla pancia, riscaldandogli il cuore al passaggio, come un rosso tappeto pronto ad accogliere la sua trionfale sfilata verso il successo.
Scese dall’autobus leggero come un fantasma, dopo aver attraversato il mezzo pubblico sotto gli occhi degli altri passeggeri, sicuramente ingenui nel non svenire al cospetto di siffatta meraviglia della natura.
Suonò al citofono e una normalissima voce lo invitò a salire a un altrettanto ordinario terzo piano, nonché comune interno nove.
Aspettò dopo aver bussato di fronte a una banale porta e, dopo qualche istante, essa venne aperta.
Non si dileguò come l’aria, non ci fu uno scorrimento di lato tipo Star Trek.
L’uscio si dischiuse come molti del suo stesso modello e l’editore, il talent scout capace di scorgere il genio tra le righe della vita di Armando, era lì sulla soglia, un attimo dopo, seduto al di là di un’elegante scrivania.
L’uomo era esattamente come il nostro se l’era sognato. Barba e capelli bianchi come il latte, grassottello, occhi grandi e vividi come quelli di un bambino, gote rosate e un bel maglione rosso di lana spessa.
Babbo natale, per capirci.
“Signor Armando”, esordì con voce calda il responsabile della casa editrice, “io e i miei collaboratori siamo rimasti impressionati dalla sua opera. La sua vita è un esempio per tutti. La sua bravura, poi, nel catturare l’attenzione del lettore fin dall’inizio è magistrale. La sua storia è piena di avvenimenti e sentimenti ricchi di poesia e di emozioni uniche. Le posso dire la verità? Sono felice di conoscerla.”
Armando non riusciva a emettere fiato. A ogni parola dell’uomo sentiva aggiungersi una piuma alle ali che aveva iniziato a costruire sulle sue spalle, con il nobile compito di regalargli il meritato dono del volo, ambito privilegio dei sommi artisti dell’umanità.
“Io, non so se…” mormorò con un goffo tentativo di mostrarsi umile.
“Non sia modesto, non le si addice”, lo riprese l’editore, “lei è fatto per essere ammirato. Questa è la vita. Il mondo dovrà accettarlo e lei per primo dovrà farlo. E’ andata così, non può farci nulla, è nato grande e come tale deve essere celebrato. E’ il minimo per quello che regala a tutti noi con le sue parole. Grazie, signor Armando, grazie di esistere.”
L’autore dell’opera ‘Il romanzo della mia vita!’ era ammutolito. Neanche nella più favorevole delle ipotesi si sarebbe immaginato tale manifestazione di approvazione. Nel frattempo l’editore si era alzato in piedi e aveva fatto il numero di passi sufficienti per porsi al suo fianco.
“Mi sento onorato, signor Armando”, proseguì l’uomo, “mi sento onorato di pubblicare, sempre se lei vorrà, il suo mirabile testo. Ne voglio fare mille, ma che dico? Diecimila, anzi centomila copie. Solo per l’inizio, ovviamente. Voglio coprirla di denaro e fama, il minimo, solamente il minimo per la fortuna che ci bacia in fronte ad averla tra noi. Le va bene?”
“C-Certo…” mormorò il nostro confuso.
“Le bastano cinquantamila euro di anticipo?”
“C-Come?”
“Ah, giusto, lei ha ragione. E’ poco. Centomila, d’accordo?”
“Sì!”
“Allora firmerà il mio contratto?”
“Sì!”
“Firmerà?!”
“Sì!!!”
“Firmerà?” ripeté l’altro con voce improvvisamente roca.
“Sì…” fece lui con tono inaspettatamente perplesso.
“Firmerà?” latrò l’editore.
“Sì…” ripeté lo scrittore.
“Firmeraaaà?!” ringhiò il barbuto talent scout.
“Ma…” saltò su l’aspirante autore terrorizzato. “Cosa le s-succede?”
Il tutto si svolse in un attimo. L’editore agguantò il collo di Armando tra le mani e lo strinse con una forza indicibile. Quest’ultimo fu sconvolto dal panico notando il viso dell’uomo, che non era più quello di prima, bensì quello di un orrendo mostro.
La creatura portò le dita alle sue mascelle e gliele fece spalancare con terribile ferocia. Quindi, con una violenza inaudita, ficcò dentro la bocca del pregiatissimo autore ogni foglio del manoscritto.
E il romanzo della sua vita tornò da dove era venuto.
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