Il segreto di Stefano
di
Alessandro Ghebreigziabiher
Lo so.
Io lo so che sei lì, ora.
Ne sono certo.
Stefano non disse altro, tra sé.
E scese in strada, in cerca di Paolo.
Il figlio del portiere era sempre in guardiola, nel primo pomeriggio, a torturare il tablet con i polpastrelli ipnotizzati.
Dall’ennesimo gioco o solitudine all’ennesimo mistero adolescenziale.
“Lo vedi anche tu?” chiese il bambino dai capelli rossi molto corti e gli occhi verdi molto svegli, apparso come dal nulla.
“Chi?” chiese il giovane dal volto brufoloso ma aggraziato.
Un inconsapevole futuro bello, insomma.
“Lui o lei, non lo so. Ma è lì, non ho dubbi.”
Paolo mollò il prezioso compagno di tempo e tanto altro e uscì dalla guardiola.
Quindi sollevò il volto alle nuvole.
“Parli di Dio?”
“No... macché. Che non lo vedi che è come noi?”
“Chi?” domandò per l’ennesima volta il ragazzo, iniziando a preoccuparsi seriamente per la salute del piccolo amico.
“Quella, o quello, non si vede bene il sesso, ma c’è e… ci guarda, adesso.”
“Stefano… tu non stai bene…”
“Sto benissimo, deficiente”, ribatté lui irritato.
E rattristato.
Forse più il secondo che il primo.
Quindi ritornò sui suoi passi e si imbatté nel dentista che rientrava a studio dopo la pausa pranzo.
“Buongiorno, dottore”, salutò con speranza nello sguardo.
“Ciao, Stefano”, rispose l’uomo condendo le parole con un sorriso forzato, “ma lo sai che non sono dottore, sono solo un assistente…”
Del vero dottore o del proprio futuro come tale, l’ennesimo mistero giovanile.
“Lei lo vede, giusto?” fece Stefano, dopo averlo accompagnato sino all’ingresso dello studio medico al piano terra.
“Chi?”
“Lui, o forse è una lei, ma lo so.”
“Cosa sai?”
“Non si vede bene, certo, ma è lì, proprio ora, è lì.”
“Ma di chi stai parlando?”
“Della persona che ci sta guardando, chi altri se no?”
L’uomo si guardò intorno imbarazzato e si aggrappò alla prima via di fuga possibile.
“Perdonami, caro, ne parliamo un’altra volta, ora devo tornare al lavoro…”
Il bambino rimase per qualche istante fermo innanzi alla porta appena chiusa dall’assistente.
“Stefano”, esclamò a un tratto la voce alle sue spalle. “Cosa fai qui?”
“Mamma”, fece il bambino condendo le parole con un sorriso luminoso. “Sei tornata, finalmente.”
“Sono stata fuori solo dieci minuti…” si giustificò lei con l’affanno per le varie buste della spesa.
Una volta in ascensore Stefano cercò ancora una volta la condivisione che sognava.
“Mamma, dimmi che almeno tu lo vedi…”
“Chi?”
Ancora una volta la stessa replica, un interrogativo prevedibile quanto il piacere di un affettuoso bacio sulla guancia al momento giusto.
“Ci sta guardando, adesso, ci sta guardando…”
La donna sentì inumidirsi gli occhi e trattenne giusto in tempo il fiume in piena che aveva imparato a imbrigliare per amore del figlio.
“Certo che lo vedo...”
Papà è sempre con noi, la didascalia.
E come se il bambino avesse ben più di una capacità superiore all’umana gittata, lesse quest’ultima, ma non disse nulla e apprezzò comunque il gesto.
Perché era certo che lui, o lei, fossero lì.
E consapevole del fatto che, segreto condiviso o meno, sapere che da qualche parte qualcuno legga la tua storia.
E’ pura magia.
Oh, se lo è.
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