Il più bel regalo di Natale
di
Alessandro Ghebreigziabiher
C’erano una volta le feste.
Puntuali come i ceffoni, quando le bottiglie erano ormai tutte vuote.
Poveri grandi.
Vanno capiti, devi capirli, altrimenti sei tu quello che diviene incomprensibile.
E questo non è giusto.
A tredici anni non lo è.
Anche questo, no, dai.
Che poi, la sorte era stata malevola fin dall’inizio.
Quale specie di sadismo arriva a imprimere siffatto nome sulla fronte di un’anima destinata a un’adolescenza segnata da privazioni, laddove le esistenze coetanee godano di luci e sorrisi.
Natale.
Ebbene sì, il ragazzino si chiamava Natale e sarebbe bastato questo per odiare quest’ultimo.
La festività, ovviamente, non se stesso.
E sarebbe bastato nel senso che se lo sarebbe fatto bastare, ecco.
Ma poi il racconto era andato avanti e l’insopportabile contraddizione si era fatta ogni anno più assordante.
Come il colossale ditone di un crudele gigante dal beffardo ghigno che insista non solo nel portarlo fin nel profondo della piaga ma addirittura facendolo danzare impazzito nella ferita.
Questa avrebbe potuto essere l’impietosa raffigurazione dell’incubo dicembrino.
Sullo sfondo il clamore dei festoni e dei simboli addobbanti e addobbati, con il sottofondo necessariamente lieto di inni e jingle sempre uguali e nel mezzo della scena la mangiatoia globale di fine anno.
Tra tutto, malgrado invisibile alle lunghezze d’onda che si concentrano sulle prime righe dei titoli di coda, c’era lui.
Anche.
Lui.
Loro, se proprio desideri addentrarti nel sottobosco del mito chiamato realtà.
La fatidica notte, impropriamente a lui dedicata, Natale era solo.
Non alla lettera, d’accordo.
Diciamo al netto di un padre collassato in camera e una madre sconfitta sul pavimento della cucina dal medesimo nemico.
Il vero colui che non deve essere nominato, altrimenti come si fa a non arricchire le fabbriche di alcolici.
A un passo dalla mezzanotte il ragazzino si avvicinò alla finestra in salotto, quella che dava sulla via principale, dove si affacciavano altrettante finestre.
Che inevitabilmente risuonavano tutte, nessuna esclusa, più fortunate della sua.
Un’intuizione e una promessa.
Ovvero, il fiocco sulla scatola e il dono.
Il primo regalo di Natale.
Il migliore.
Forse non sono solo come credo.
Ma, soprattutto, un giorno uscirò da qui, volando, se devo.
E ci abbracceremo.
Tutti.
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