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Una giornata sfortunata.
Niente da eccepire, definizione perfetta, sintesi ottimale capace di evocare esattamente quel che mi è accaduto oggi.
Diciamo pure senza sorprese. O, forse, con un’infinità.
Segue l’incidente che è accaduto nel breve, come spesso capita: esco di casa, sono in ritardo come al solito e con una imperdonabile sbadataggine inciampo nel tappetino all’ingresso del condominio, finendo con la testa sul portone.
Risultato, livido in fronte e, soprattutto, occhiali rotti.
Giornata sfortunata, certo, da cui il titolo di questa storia, ovvero le parole con il nobile compito di spiegare tutto, anche se il più delle volte falliscono miseramente nell’impresa. Il fatto è che senza occhiali sono persa, come dissi un giorno al mio ultimo ex spasimante durante il nostro ultimo appuntamento, nell’ultima volta, lo giuro, che ho accettato di uscire con un tipo suggerito dalle amiche.
Ripeto, persa, e fu così anche nello sventurato giorno fin qui rievocato.
Subito dopo la craniata, sono arrivata a scuola per miracolo, viaggiando tra metro e bus.
Mi sentivo giustappunto persa, lungo tale tragitto, incapace di nascondermi al sicuro dello schermo del cellulare o del romanzo che sto leggendo in questo momento. Una roba soporifera, lo ammetto, ma me l’hanno regalato e lo leggo, perché un giorno mio padre mi ha detto che sono le storie che vanno da te e non il contrario, e che quando ciò accade un motivo ci sarà.
Scusa, papà, ma stavolta il senso del dono è quello di agire come sonnifero, ma va bene così.
Anzi, no, perché oggi non è andata affatto bene, poiché ripeto ancora una volta che mi sentivo davvero persa, impossibilitata a decifrare parole e immagini nei miei adorati rifugi. Al contempo, lo sono stata altrettanto innanzi al mondo che tento quotidianamente di attraversare invisibile, nei panni di un oggetto d’arredamento vivente tra i molti nella tappezzeria dei viaggiatori. Persa in quest'ultima, se preferite, ma trattasi di ben altro smarrimento, ecco. In questo caso si tratta piuttosto di un perdere che perdersi, ma questa arriva dopo.
Quando finalmente sono entrata in classe per prendere posto in cattedra, l’aula era già ricolma di gioventù vibrante. Con quello sconquassamento ormonale in bella vista, le emozioni frastornate e casualmente sparse sui volti, e gli occhi che tradivano il solito straordinario disorientamento. Che alla fine della fiera scolastica, in noialtri non più così giovani, generano un solo quesito, chiunque ne sia stato il protagonista: come ho fatto ad arrivare fin qui indenne?
La giornata a scuola è trascorsa secondo copione. Anzi, secondo programma, essendo un’insegnante.
Senza occhiali per tutto il tempo non ho visto un’acca, ma che dico, tutto l’alfabeto. Ciò malgrado, mi sono dovuta affidare alle sole possibilità rimaste.
Ho intravisto e, per completare il quadro, ho immaginato. Al meglio, ho dedotto affidandomi a dei dettagli spesso sottovalutati: voci e odori, tatto e suoni, sapori e molte altre inezie che di norma sono tali. Ma, oggi, non è stato così e mi sono improvvisamente ricordata dell'esistenza di una quantità enorme di particolari davvero importanti che avevo rimosso.
Altrettanto miracolosamente, facendo il medesimo tragito all'inverso, con un sorriso idiota sono rincasata.
"Che giornata", mi sono subito detta dopo aver chiuso la porta. Mi sono perfino dimenticata di passare dall’ottico.
Che giornata sfortunata. E che il cielo, o chi per lui, benedica la sfortuna.
Di perdersi...
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