Il condominio delle famiglie incomplete
di
Alessandro Ghebreigziabiher
C’era una volta una famiglia incompleta.
Lo era per antonomasia e da ogni punto di vista.
Tutto non era abbastanza, nelle vite di ciascuno dei componenti.
Papà non era sufficientemente astuto per far carriera e non riusciva mai a colmare quel tratto di strada che gli avrebbe fatto raggiungere la vera meta di ogni vincente moderno. Piacere a chi custodiva le chiavi dei piani migliori, dove l’aria è condizionata a perfezione e la fortuna non è mai troppa. Perché si sa che nel mondo reale il lieto fine non è altro che la naturale conclusione di un lieto inizio.
Mamma non era concreta a sufficienza e si vedeva, cavolo se si vedeva. Mi basta dire che lo smisurato numero delle occasioni propizie trascurate era paragonabile solo alla quantità di inutili e traballanti castelli di carta velina dentro i quali aveva pensato di tenere al sicuro la propria ingenuità. Che è profilo adorabile nella ragazzina dagli occhioni perennemente grati alle cose per come sono, ma poi il tempo passa e di increspature su quel paramento di leggerezze intessuto non ne vedi alcuna e il tutto comincia a irritare financo i meno irritabili. Cosa avrai da ridere, scema, è il minimo che puoi aspettarti.
I due figli, poi, erano esistenze monche da manuale.
Al maschietto mancava l’altezza mezza bellezza e pure la mezza bellezza restante, mentre la femminuccia era carente del requisito base, ovvero la femminilità. Almeno in accordo col comune sentire, certo, perché dal canto suo si sentiva donna e agiva da tale, scegliendo movimenti e parlata, abiti e abitudini seguendo le personali inclinazioni. Ditemi voi se esista strada più a rischio di incompiutezza di questa.
Il destino era segnato per i nostri e inevitabilmente la vita consegnò loro il proprio avviso di sfratto.
Il papà fu licenziato in tronco, la mamma idem e i ragazzini rimandati, bocciati ed espulsi, tutti in una sola volta. Perché quando il mondo ci si mette d’impegno a cancellarti dall’inquadratura fa le cose per bene. O male, dipende sempre da chi sia il defenestrato e chi solo un fortunato spettatore.
La famiglia incompleta si ritrovò all’improvviso in mezzo a una strada.
Ovverosia, coerentemente con la storia, nella parte difettosa di quest’ultima.
Una delle tante buche dimenticate sulla via, che mettono in pericolo soprattutto il cammino dei veloci.
I nostri scesero all’interno della fossa e scoprirono un'altra città.
Anzi, una città incompleta, letteralmente.
Una citt.
Nella citt c’erano person come noi, ma nessuna di esse era stata disegnata con la necessaria precisione.
Tutto, anzi, tutt era manchevole di qualcosa.
La famiglia incompleta, che aveva vissuto sino a quel momento inseguita di continuo dall’ansia dei vuoti incolmabili e il rimpianto per le vette irraggiungibili cominciò a rilassarsi.
Non capita spesso, ma laddove il miracolo avvenga, perfino in età matura, è roba spettacolare, senza scherzi.
Sentirsi per la prima volta a casa.
Anzi, a cas.
E la vera meraviglia fu che trovarono quest’ultima in un palazzo enorme, un condominio di una vastità incalcolabile, pieno di gente come loro.
C’era chi non era stato abbastanza cauto nel tacere e tenere la verità per sé e chi non era stato sufficientemente rapido nell’alzare la mano, quando fecero la conta dei sostenitori della ragione più ragionevole.
C’erano tutti, insomma, tutti coloro che non avevano mai avuto alcuna chance di terminare la corsa, per i quali arrivare ultimi sarebbe stata la gioia della vita.
La famiglia fu accolta da un applauso scrosciante, fuori giri e di battito stonato, indubbiamente.
Ma fu la prima volta che provarono cosa volesse dire riceverlo a prescindere da quanto ti manchi nella sporta.
Amor.
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