Ho perso la svolta
di
Alessandro Ghebreigziabiher
Non ho fatto tardi.
Ce l’ho fatta comunque e tutto è andato per il meglio.
Malgrado quel che pensavo.
Partendo dall’inizio, sono uscita di casa più o meno alla solita ora, quel giorno.
Forse un po’ prima.
E solo una volta prigioniera del traffico ho avuto modo di riflettere sull’insistenza dell’atto. Come il piede che inevitabilmente va e torna, ancora e ancora, di nuovo si lascia andare sull’acceleratore.
Allo stesso modo, è ogni giorno un po’ prima che mi arrendo.
Che cedo una parte di me.
Di te.
Ma questo è il passato.
La realtà è che stavolta non ho fatto tardi, figlio mio.
Ce l’ho fatta davvero e tutto è andato bene.
Nonostante le premesse.
Tornando al racconto, il resto della sequenza si è dipanato sul noioso, tirannico schermo chiamato parabrezza e l’auto, insieme a tutte le altre intorno a me, mi ha condotto sulla solita via, la solita curva, il solito semaforo e la solita piazza.
E’ questo l’incidente che uccide di più sulle strade.
Non è il frastuono della collisione, le lamiere affamate che si lanciano sulle carni al volante, la benzina che urla e si unisce alla mortale festa.
Quella è soltanto la punta dell’iceberg.
Anzi, no, quella è soltanto l’immagine che vende di più.
Lo scontro più pericoloso avviene in silenzio e di continuo, tra te e me, tra noi tutti, incolonnati e imperterriti su un frammento di vita che non cambia mai.
Perché siamo noi a non farlo.
Eppure, capita di rado che tu sia benedetta.
Perché non ho fatto tardi, cuore mio.
Ce l’ho fatta, per te e per me.
Sebbene sembrassi spacciata.
Ho sbagliato.
Tutto qui.
Ho compiuto l’errore imperdonabile per una mangiatrice d’asfalto.
Ho perso la svolta, mi sono distratta e ho girato nuovamente intorno alla piazza.
Niente male, pensai, come in tanti credono.
C’è sempre tempo per tornare sulla retta via.
Niente da fare, anche la seconda volta ho ignorato la rotta.
Guadagnando un altro giro, un'altra bambolina.
Un altro dono.
Inaspettato.
Ovvero, un’infinità di roba che era lì.
Credo di aver fatto il giro di quella piazza una ventina di volte, ma forse anche di più.
Ho visto quel che mi era sfuggito.
Ho visto che la rotonda proteggeva un mini parco, un verde disegno sul grigio che non avevo mai notato con la giusta attenzione. Sette alberi, ci sono sette alberi precisamente, due sono molto simili, uno è ben più grande degli altri, si trova sul limitare dello spiazzo, altri tre sono poco più che arroganti piantine con manie di grandezza e poi c’era lui, un alberello sbilenco accanto a una panchina. Una ragazza vi era seduta con le mani, le dita, gli occhi e tutto ciò che fosse visibile incollato al cellulare. Ma non tutto. L’ho sentito, a ogni giro ho percepito meglio quanto ci fosse ancora di libero, in gioco. Quanta speranza rimanesse per lei.
Per te e me.
Non è tanto, ma è tutto quello che abbiamo.
Non ho fatto tardi, hai visto, piccoletto?
Ce l’ho fatta ad arrivare in tempo, quando sei uscito da scuola.
E’ andato tutto alla perfezione.
E, non ci crederai, ma se ci mettiamo d'impegno.
Avremo la fortuna di perdere altre presunte inevitabili svolte.
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