Con un battito di ciglia
di
Alessandro Ghebreigziabiher
Serena.
Se i nomi fossero sul serio tutta la storia che c’è.
Se i nomi fossero onesti, come certi sogni.
Allora capita che a tredici anni ti addormenti con impegno, tenero e tenace come i desideri che ti portano a quella festa, dove speri con tutta te stessa che starai bene, che tutto andrà bene e ci penserai su.
Che poi è questo il bello, dai.
Quello che resta e che migliora col tempo, giammai roba da cancellare un secondo dopo.
Più tardi, al calar della notte, Serena, questo è il nome, solo quello, chiuse gli occhi.
Anzi, no, li serrò di fretta e furia, come quando vai via da quella stessa festa, perfino prima della torta, l’unico motivo rimasto.
E via a riempire il cestino di parole e immagini sgradevoli.
Grassa, questa è la parola, magari fosse la sola.
Perché ci sono così tanti modi per far male e non altrettanti per conviverci?
Per fortuna che si possono chiudere, gli occhi.
Che il cielo o chi per lui benedica le palpebre, le salvifiche ali degli angeli maltrattati.
Troppo appesantiti per volare.
Da parole e immagini, altro che ciccia.
Per fortuna che esistono le palpebre e i sogni, sì.
Ma non sogni qualsiasi, del tipo normale, scritti da quel presuntuoso signore lì, l’inconscio, autore sopravvalutato, a dirla tutta.
Capita anche questo, a tredici anni.
Capita che Serena solo di nome prenda quel misterioso foglio nella testa e se li scriva da sé. Affinché nel racconto vi sia tutto quel che davvero cerca.
Salvatrice e salvata, eroina e vittima, libera e prigioniera.
Serena, solo tale.
“Chiudi gli occhi”, fa la presunta fata dalla voce camuffata, “quando serve, quando brucia, spegni la luce e cancella loro, non te. E vedrai, con un battito di ciglia, che la magia esiste ed è fatta d’amore per te.”
Al mattino, il mattino è sempre lo stesso.
Così la colazione, il bagno dalle mura ammuffite, papà che è ancora costretto a casa e mamma obbligata a uscirne anche quando non vorrebbe.
La scuola non è cambiata, così come la classe e i compagni.
La sedia, il banco e tutto quel che si muove fuori.
Della finestra e del tuo cuore.
Ma quando tutto sembra deluderla ancora una volta, ecco che i ricordi sopravvissuti riaffiorano.
Non si sogna mai invano, soprattutto quando ne avevi un disperato bisogno.
Allora, con il coraggio migliore, quello che nasce da speranze ineludibili, Serena sceglie di credere di giorno a quel che di notte ha scritto.
Con un battito di ciglia, gli ora giovani, marrani derisori, divengono quel che un giorno diverranno, ovvero degli omuncoli inutili e tristi senza un briciolo di leggerezza all’orizzonte.
Con un battito di ciglia, tutto diventa più piccolo e stavolta non è magia, è solo lei.
Serena, che dopo un altro battito ancora apre gli occhi e non riesce più a chiuderli innanzi alla bella donna nello specchio.
Bene, ha funzionato, perché non c’è più fretta di guardare avanti.
E’ così che Serena e tutte quelle come lei capiscono.
Che non sono solo un nome tra i tanti.
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