La clinica dei sogni
di
Alessandro Ghebreigziabiher
“Nonno… scusa”, fece comprensibilmente scettica Roberta, “ma a cosa mi serve accompagnarti da nonna?”
“Non hai detto che vuoi guarire subito?” chiese l’uomo ultraottantenne, malgrado sembrasse ignorarlo, mentre spingeva la sedia a rotelle.
“Sì, certo che l’ho detto, ma tanto le gambe sono andate… e anche il campionato. Anzi, è la pallavolo a essere finita.”
“Perché?”
“Primo, perché per colpa di quel dannato scooter ho fratture ovunque e ci vorranno mesi per tornare in piedi, tra fisioterapia e tutto il resto. Secondo, perché nel frattempo qualcuna della panchina mi avrà rimpiazzato alla grande e si sarà di sicuro dimostrata più forte di me.”
Le lacrime condirono di amarezza le parole.
“No.”
“No cosa?”
“Dicevo, perché hai smesso di sognare?”
“Nonno, non cominciare… mi bastano papà e mamma.”
“A cosa ti riferisci?” domandò il vecchio mentre spingeva la nipote all’interno della casa di cura.
“Dovresti conoscerli meglio della sottoscritta, soprattutto mamma, visto che è tua figlia. Invece di rattristarsi per me, per la mia disgrazia, mi hanno detto di non lamentarmi e di darmi da fare. E poi sono tornati alle loro stramberie, lui a esercitarsi con il piano e lei con la danza.”
“E cosa c’è di sbagliato?”
“Di sbagliato c’è che sono degli illusi. Papà vende sanitari e saranno due anni che è in cassa integrazione, mentre mamma fa supplenze alla materna da una vita. Eppure si credono uno un pianista e l’altra una regina delle piste da ballo.”
“Sono contenti.”
“Sono dei folli, è diverso.”
“E contenti.”
“Contenti, come vuoi tu.”
Nel frattempo i due raggiunsero la sala comune, dove senza sorpresa trovarono la nonna seduta a prendere il sole, accanto alla finestra, da cui osservava immancabilmente il prato antistante.
“Ciao Matilde”, fece il marito baciando la guancia raggrinzita della donna, con lo sguardo assorto e al contempo assente, dissonanza frequente nei pazienti affetti da Alzheimer.
“Ciao nonna”, fece meccanicamente Roberta.
Il nonno prese una sedia e si sedette accanto alla moglie.
Quindi le prese una mano e lo stesso fece con la nipote.
“Cara”, mormorò come se la vecchina potesse davvero sentirlo, “Roberta ha bisogno d’aiuto.”
“Nonno…”
“Cosa c’è?”
“Cosa stiamo facendo?”
“Semplice, ti aiutiamo a guarire subito.”
“Fate magie, per caso? Siete degli stregoni e me lo dite solo adesso?”
“No, nessuna magia, Roberta. Vedi, in realtà quella che cura è solo tua nonna.”
“E come fa?”
“Roberta, ti presento la direttrice della clinica dei sogni. Matilde ha sempre avuto un dono, piccola mia. Lei aggiusta i sogni, amore mio. E i sogni sono come le ossa del corpo. Si fratturano, si lussano e si rompono quasi del tutto. Sembrano bloccarsi e si debilitano, hanno bisogno di esercizio e di un’alimentazione sana, devi proteggerli e ricoprirli di muscoli, affinché restino integri e sopravvivano agli scontri. E sono tanti, gli scontri, gli incidenti capitano, devono capitare, è normale, è necessario, è giusto, perché con i sogni si corre e si salta, si va dove c’è il pericolo e dove ci sono coloro che non aspettano altro che ferirli, che ferire te, che ancora credi in loro. Sono fatti per farsi male, è nella loro natura, tesoro. I sogni che nascono e rimangono perfetti per sempre, senza dare mai dolore, si chiamano illusioni. Sognare vuol dire aver cura dei sogni e questa bellissima donna, che vedi qui tutta piena di rughe e acciacchi, ha rattoppato i miei e quelli dei tuoi genitori, lo fa anche adesso, ci basta stare qui un po’. Perché è così che l’amore preserva orizzonti e futuri. Gli basta rimanerti accanto.”
Altre lacrime condirono stavolta i silenzi di Roberta.
Con la tanto sottovalutata.
Folle contentezza.
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