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Storie di scuola dove niente si impara

La scuola dove niente si impara

di
Alessandro Ghebreigziabiher

C’era una volta una scuola.
Una di quelle strane, di cui non si parla, e quando lo si fa, capita sempre per caso.
Come quando si scrive una storia, perché non è, e mai dovrebbe essere, azione programmata ed eccessivamente lucida.

Alessandro Ghebreigziabiher
Nella scuola di quelle strane, di cui non si parla, beate loro, niente si imparava.
Perché niente si insegnava.
Di conseguenza, maestre o professori, docenti e insegnanti, per esteso, il complicato e temuto adulto al di là del banco più grande, nulla spiegavano.
Perché non c’era programma da seguire.
Né registri da vidimare e tantomeno protocolli da applicare.
Indi per cui, qualora fossi capitato in una delle aule della scuola tra quelle strane, di cui non parli, al netto di una congenita vocazione alla
pervicace distrazione, avresti visto ben altro.
Libri di testo, privi di quest’ultimo.
Senza corposi indici e dettagliati capitoli, paragrafi indispensabili e pignole note a piè di pagina, profonde appendici e quanto mai tediose bibliografie.
Lavagne tradizionali o multimediali del tutto illibate.
Quaderni condannati a un biancore perenne.
Pagine vuote ovunque, insomma.
A cagione di ciò, all’interno della scuola di quelle strane, di cui non parli, a meno di venir preso per il cuore, le penne erano tutte intonse, gravide di servile inchiostro, bramoso di obbedire a sua maestà il Dettato.
I pennarelli pativano in silenzio le vane proteste dei colori prigionieri, soprattutto quelli destinati a tinteggiar le solite casette con l’alberello accanto e il sole sorridente a vegliar le banalità imposte.
E le gomme da cancellare, sepolte nell’astuccio, se ne stavano lì a fomentarsi a vicenda paure ottuse e ignoranze seriali.
Perché laddove ozio e oscurità amoreggino, la sfortunata prole è destinata e vivere di paranoie e solitudine.
Eppure, l’apparenza inganna e il più delle volte si rischia di trarre conclusioni affrettate, soprattutto dando per scontato il racconto popolare.
Che oggigiorno si chiamerebbe virale.
Difatti, allorché un destino generoso trovasse il tempo di dirottarvi nei pressi della scuola tra quelle strane, di cui non si parla, ma qualcuno deve pur scriverne, cogliereste quel che sento io.
Un brusio, all’inizio.
Su per le scale, quindi, coraggio.
E il bisbiglio crescerebbe al ritmo della vostra curiosità, fino ad appoggiar l’orecchio al legno della porta di una delle classi della scuola.
Dove niente si impara, siamo d’accordo.
Perché stavolta, al di qua dei banchi minori, magari dalle zone più remote e misteriose delle retrovie dell’aula, c’è un tesoro vivente a parlare come non lo ha mai fatto prima.
Dove di rado la voce trova spazio.
E che tu sia insegnante in servizio o semplice compagno di avventure.
Non puoi fare a meno di ascoltare, nella scuola dove niente si impara.
E da quello stesso niente, tirar fuori tutto.

 
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