Piera e l’alba dei vivi morenti
di
Alessandro Ghebreigziabiher
Memorabile, è stato memorabile.
Non faccio che ripetermelo, sapete? Come se avessi uno sfrenato bisogno di ricordarmi che stavolta gli aggettivi godono come di una fondatezza particolare.
Mi capiterà altre volte di dirlo.
Memorabile, già.
Ma questa volta è l’occasione in cui ogni parola si merita la lode.
A ogni modo, non mi sono ancora presentata.
Mi chiamo Piera e non sopporto il nero, sapete?
Mi butta giù, che volete farci, dipendo dalle tonalità più gradevoli.
E non è solo una questione di colori.
Non riesco a iniziare la giornata se non metto su una canzoncina allegra, leggera come le note più banali e le rime più facili da pronunciare, ma qual è il problema?
Esatto, non sapete qual è, perché non c’è, tutto deve filare liscio.
Finché è arrivato Claudio.
Ovvero, il primo ad arrivare è stato Sergio, ma è anche stato il primo ad andarsene.
Subito dopo Claudio, s’intende.
Molti dicono che è diventato così anche per questo...
Non sono convinta.
Non sono e non voglio accettare l’idea che i figli siano l’esatta conseguenza di qualcosa di più o meno felice.
Che tutti quanti noi, lo siamo.
Non siamo solo l’effetto della vita.
Spesso, se lo vogliamo, ne siamo la causa.
Memorabile, ripeto.
Quella sera, sul tardi, è stato memorabile.
Solito sabato davanti alla tv, pronta per il consueto talk show spegni cervello e scuci lacrime a poco prezzo, quando mi sono azzardata a entrare nella sua camera.
Memorabile, è lì che è iniziata.
E’ in quel momento che ho cominciato a costruire il piano, o forse la storia, nella mia timorata fantasia.
Nero, nero ovunque nella stanza di Claudio.
Ma a sedici anni non dovresti essere tu a sprizzare di vitalità?
Perché non ho mai visto così tanti teschi o immagini lugubri tutte insieme.
Per non parlare della musica che sente.
Musica… diciamo piuttosto strilli e ruggiti bestiali.
Perfino gli strumenti sembra che gridino.
Di rabbia.
L’ho detto che molti sostengono che sia dovuto all’assenza di un padre?
Magari qualcosa di vero c’è, ma non cambio idea.
Non siamo solo destinati a riempire vuoti.
Siamo qui anche per scambiarci dei pieni, sapete?
Questo ho finalmente compreso, dopo aver sparato direttamente nelle mie tenere orecchie uno dei cd di mio figlio.
Ho chiuso gli occhi, come prima reazione, ma poi li ho aperti.
Memorabile, sì.
Perché l'inquietudine è pian piano diventata una chiave per qualcos’altro.
Le emozioni non sono la porta, ma ciò che ci permette di attraversarla.
E questo, sono certa, già lo sapete meglio di me.
Così, quando più tardi mi sono svegliata sul divano, con la tv che continuava a blaterare i nonsensi di cui si nutre, ho capito che i sogni avevano terminato il racconto per me.
Claudio era rientrato e si era appena sdraiato sul letto per affrontare la notte con le immancabili cuffie urlanti alle orecchie.
Memorabile.
Insisto, memorabile, come la sua faccia quando mi ha visto entrare.
Non ha sorriso, non ancora, perché i nero dipinti, dentro e fuori, lo fanno di rado, al punto che non ricordavo più che tipo di luce mostrassero i suoi occhi, quando accadeva.
“Claudio, è mezzanotte”, ho esclamato con solennità.
Si è tolto le cuffie e basito ha giustamente replicato: “E allora?”
“E allora dobbiamo prepararci.”
“Per cosa, mamma?”
“Per l’alba, figlio.”
“Che? Mamma… hai bevuto?”
“No, Claudio, dobbiamo essere lucidi, stanotte.”
“Perché? Che succede stanotte?”
“Scusa, no stanotte, all’alba.”
“E cosa succede all’alba?”
Memorabile, indubbiamente memorabile la sua sorpresa in quell’istante.
“All’alba usciremo di casa e insieme affronteremo i mostri.”
“Chi? Mamma… ma di cosa parli?”
“Dei mostri, Claudio. Li affronteremo insieme, i vivi morenti. Ecco come faremo. Trafiggeremo i loro cuori inerti con paletti di pura empatia, li inonderemo di acqua semplicemente pura, ovvero già santa di suo, useremo l’argento, è chiaro, pure l’aglio e il sale, ma l’ingrediente migliore sarà la curiosità, un'indispensabile e incalcolabile quantità di curiosità per chi temiamo di più, anche se non ne conosciamo il motivo, soprattutto per questo.”
“Mamma… forse ho capito, apprezzo lo sforzo, ma hai fatto molta confusione. Nel caso ti riferisca agli zombie, il paletto o l’aglio non servono, quelli sono i vampiri…
“Claudio, credi forse di parlare a una novellina? Conosco bene il mio nemico, il nostro. Bisogna colpirli alla testa, credi forse che non lo sappia? Bisogna sempre colpirli alla testa, è lì che dobbiamo centrarli, ma non fermandoci al cranio, figlio. E’ il cervello che dobbiamo raggiungere, è lì che si nascondono, perché è lì che ci nascondiamo tutti quando abbiamo paura.
“Io non voglio più aver paura, ma non so se ce la faccio da sola in questa avventura… mi aiuti?”
Memorabile, il finale, il nostro, sapete?
Più dell’abbraccio seguente, di nuovo il sorriso e la luce.
Di mio figlio.
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