Il super potere di Franchino
di
Alessandro Ghebreigziabiher
No, caro diario, no.
Non è un diario, questo.
Non è la pagina per un giorno, da dimenticare e poi sforzarsi di ricordare, qualora servirà.
Le parole che scrivo ora, sono per sempre.
Per me.
Franchino…
Ho tredici anni, quando la smetterete di chiamarmi così?
Quando la smetterò, di pensarmi così?
Per non parlare del resto.
Anzi, no, parliamone, siamo qui per questo, giusto?
Parliamo del dolore, non delle ferite.
Le botte fanno male, sempre, certe di volte di più, altre meno.
Ma il dolore resta, sopravvive alle tracce del suo passaggio sulla pelle, scivola giù, affonda e non si ferma finché non trova qualcosa di abbastanza grande da contenere tutto.
Il cuore, dicono alcuni, altri la pancia.
Per me è la testa.
Da oggi, lo so da oggi.
Per questo, scrivo.
Per questo, scriverò.
Non un diario, l’ho detto all’inizio e lo ripeto.
Questo è per me.
Caro me, quindi, avrei dovuto iniziare così.
Caro me, domani, a scuola, comincia il film tratto dal fumetto della mia riscossa.
Il dolore resterà, pugni e calci non saranno mai innocui.
Non posso diventare all’improvviso un alieno invulnerabile e forse non lo voglio.
Ho sempre voluto essere me, forse è questo il mio problema.
E la mia fortuna.
Non posso neppure farmi mordere da un insetto radioattivo.
Non amo le creature molto piccole.
Probabilmente perché sono una di loro.
Ero, a esser precisi.
Franchino ha le ore contate.
Perché non posso avere due identità, malgrado quella favorevole mi darà le soddisfazioni che ho sempre sognato, ne sono certo.
Uno tra noi è di troppo, tra me e lo specchio.
E perché non devo essere proprio io a sopravvivere?
Non è per questo che sopportiamo tutto e tutti?
Per vivere di vita e non di sguardi, non è così?
Il dolore peggiore, quello inflitto quotidianamente da questi ultimi, rimarrà, ed è pure sbagliato far finta che non esista.
Nessuna maschera, niente sotto il letto o il cuscino, tasche vuote e occhi pieni di cose.
Mie.
Ecco, già mi vedo, intrappolato nella solita scena, ma con il finale nuovo, però.
Ricreazione, corridoio e bagno senza indugio, perché il mio corpo trema, ma ora so cosa fare.
Eccoli, me li immagino tutti insieme, perché solo insieme hanno senso, a circondarmi, illusi di esser meno soli, innanzi al sottoscritto.
Eccomi, prima che possano ancora una volta alzare un dito su di me.
Mi schiarirò la voce e con gli occhi fiammeggianti e impavidi esclamerò con ogni grammo della mia fantasia: “Badate a voi, ho una storia... e non ho paura di usarla.”
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