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Le scarpe nuove

Le scarpe nuove

di
Alessandro Ghebreigziabiher



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“Corrado…” fa la ragazza dopo essersi voltata, non trovando più il fidanzato al suo fianco. “Vieni via, che sta piovendo…”
Il giovane è immobile sul marciapiede, a un passo da lei, al sicuro grazie alla veranda appositamente tesa sulla scintillante vetrina di una gioielleria.
“Mi senti?” insiste Maria infreddolita, tradita come molti da un ingannevole illusione di primavera. “Vieni a ripararti qua sotto, scemo. Cosa fai, fermo lì?”
Fermo, già.
Corrado è fermo, con il capo chino, indifferente alle gocce di pioggia che man mano si affollano sul collo, decise a scivolare lungo la schiena e porre le basi per un robusto raffreddore.
“Cosa stai fissando?” domanda la ragazza, tra il curioso e il preoccupato.
Corrado solleva la testa e la guarda disegnando sul volto un sorriso a dir poco complesso.
“Ridi?” fa lei.
No, sembra rispondere lui.
Ricordo.

Alessandro Ghebreigziabiher

Ricordo quei compagni, a tredici anni.
E ricordo le scarpe.
“Oggi andiamo a comprarci quelle nuove appena uscite
”, sembravano intonare come un sol coro i più attenti ai fondamentali segni di distinzione tra le creature destinate al podio e le futili comparse dei banchi più sfigati.
“Corrado, tu vieni?

Perché quella maledetta domanda brucia ancora oggi?
Perché quella benedetta domanda è un dono solo ora?
, fu la mia risposta o menzogna di allora.
Più tardi, una volta a casa,
la seconda domanda, quella di  mia madre, ancor più degna di esser rammentata adesso: “Che hai?”
Niente, mamma, fu l’immancabile risposta.
Di seguito, si fece largo in me l’intraprendenza dell’adolescente disperato: “Anzi, ci sarebbe qualcosa… mi daresti i soldi per comprare un paio di scarpe nuove?”
Ecco, tieni pure, Corrado, rispose mia madre. Questo è quello che ho... 

Questo è quello che puoi avere, mi dissi osservando i pochi spiccioli che quell’adorabile signora dai molteplici lavori era riuscita a racimolare.
Che dire, ostinazione fu uno dei miei peccati d’allora, così come ora leggo fantasia.
Un attimo dopo mi aggiravo tra i banchi del mercato dell'usato e le vidi.
Non erano loro, non lo sarebbero mai state, e soprattutto il colore era sbagliato.
È giusto adesso, ma allora no. Non lo sapevo.
Nondimeno, il prezzo era perfetto.
Avanzava pure qualcosa da ridare a mamma, guarda un po’?
Così tornai a casa ed entrai con ciò che ritenevo di meritare, il massimo che spettava ai fasulli imitatori delle star scolastiche.
Ma non mi arresi, sistemai davanti a me la foto delle divinità su suola da una rivista, e portai la mia coppia di cenerentole in bagno con la scatola delle tempere.
Sono un artista, mi dissi, mentre lavoravo di fino. E mi ripetevo: sembrano uguali, sembrano vere, io lo sembro.
Quando finii ero fiero di me. Le misi ai piedi e guardai il mio viso raggiante nello specchio.
Ho vinto anch’io, esclamai in silenzio. Malgrado tutto.
All'improvviso entrò mia madre e vide gli sbavi di vernice sul pavimento. Chiusi subito la porta con incomprensibile vergogna, come se fossi stato sorpreso durante un furto, e mi affrettai a pulire.
“Non fa nulla”, esclamò lei, aggiungendo parole che solo adesso ricordo.
Tanto è lavabile…
Il giorno seguente ero scuola e leggero come l’aria che solo le divinità in classe possono respirare, volai al di sopra dei mortali tra i compagni.
Questo fu il sogno, che ebbe inizio con la prima campanella, questo fu l’incubo che si fece largo con l'ultima.
Alla metaforica mezzanotte la magia scomparì, le scarpette dimenticate erano due e io il principe deluso e la mancata principessa nella stessa persona.
Perché non appena fui in strada, tra la folla di studenti, iniziò a piovere e l’acqua mostrò a tutti la mia reale natura.
Gli sberleffi e soprattutto gli sghignazzi 
da sotto i cappucci e al riparo degli ombrelli echeggiano ancora oggi.
Così come sono anch’io a sorridere, ora.
“Corrado”, implora anni dopo Maria, “ti prego, vieni accanto a me, vuoi prenderti un malanno?”
E invece continuo a ricordare, a sentirmi bene e ogni secondo meglio.
Perché la pioggia ha finalmente cancellato le vane zavorre dell’adolescenza e riportato alla luce l’adorabile essenziale.
Grazie, mamma.


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