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Una storia al contrario in ben altro universo, dove in un mondo capovolto è l’imperfetto a regnare, a discapito delle eccezioni…
“Carla, basta lamentarti, su...”
“No, mamma, non ci riesco…”
“Sì che ci riesci. Soffiati il naso con questo fazzoletto e lavati la faccia, coraggio.”
La ragazza, a un passo dalla maggiore età, è seduta in terra nel bagno. Solleva il capo e mostra gli occhi arrossati e le lacrime di mascara sul volto. Quindi si tira su e obbedisce alla madre.
Dopo essersi asciugata il viso, riprende a fissarne l’immagine riflessa nello specchio.
“Va meglio, vero?”
“No, mamma, non va meglio per niente… sono ore che provo trucchi su trucchi per la festa di domani, dopo aver passato mesi a studiare quegli stramaledetti video tutorial di Youtube. Mi ci vorrebbero degli effetti speciali… o magari qualcosa di magico…”
“Sei troppo dura con te stessa, Carla, devi apprezzarti di più, ti devi accettare per ciò che sei.”
“Cosa intendi?”
“Tu sei brutta, lo sei sempre stata, mamma.”
“Non è vero…” si schernisce l’interessata.
“Sì che è vero, papà per primo lo dice sempre. Vostra madre è la donna più brutta del mondo.”
“Tuo padre esagera sempre.”
“Ma è così, mamma, lo pensano anche le mie amiche.”
“Ah, sì? E cosa dicono?”
“Che meraviglioso naso lungo che ha tua madre, come fa a vederci con quegli occhi così storti, che fantastiche labbra da formichiere sdentato e così via.”
“Il formichiere non ha i denti, cara.”
“D’accordo, ma hai capito cosa intendo. Io non sarò mai brutta come te.”
“Perché?”
“Perché sono bellissima, mamma!”
“Non è vero.”
“Sono troppo bella, sono perfetta, cavolo, guarda.”
“Cosa?”
“Guardami nello specchio, mamma. Ho un naso dritto e misurato al millimetro, la linea degli occhi è così precisa da sembrare disegnata. E la bocca… ne vogliamo parlare?”
“Parliamone.”
“Mi prendi in giro, mamma?”
“No, Carla.”
“La vedi?”
“Cosa?”
“La bocca. È così bella che pare finta. Io sembro finta, mamma. Come una bambola, come una foto venuta troppo bene, cioè male. Meglio, cioè peggio. Come il peggior quadro al mondo, ma di un pittore cieco, mamma, perché solo un non vedente potrebbe dipingere qualcosa di bello.”
“No, ti prego, Carla, non ricominciare a piangere, tieni un altro fazzoletto.”
La ragazza arresta appena in tempo la nuova emorragia di adolescenziale sofferenza e dopo un’altra poderosa soffiata, riporta lo sguardo sullo specchio.
“Lo sai che sono arrivata a pensare?”
“Cosa, cara?”
“Di andare da quei dottori lì, quelli che ti rompono il naso e ti spostano gli occhi a casaccio. Una mia amica mi ha detto che hanno aperto fuori città un posto, la clinica Picasso, credo si chiami…”
“Ma che dici, Carla?”
“Sì, scusa, mamma, lo so, è una follia.”
“Sai qual è la vera follia?”
“Quale?”
“Pensare che la bruttezza sia la cosa più importante, nella vita.”
“E cosa c’è che valga di più, mamma?”
“Il tempo.”
“Il tempo?”
“Sì, il tempo è l’unica ricchezza che conti. Perché segna il corpo di ciascuno di noi e prima o poi arriva il momento di ammirare nello specchio le imperfezioni con cui la vita ha scritto la nostra storia su noi stessi.”
“Vuoi dire che diventiamo tutti brutti?”
“Be’, più belli non diventiamo di certo.”
“Allora non vedo l’ora di essere vecchia.”
“Senza fretta, Carla.”
“Ma cosa faccio nel frattempo?”
“Nel frattempo, piccola mia, che ne diresti di essere felice?”
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